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Notturno

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Lento si stacca il punico legno
dalla banchina deserta,
sciabordano nella notte oscura
ove cielo e mare si fondono le onde nerastre
contro la prua simili a carezze di mani lascive;
non una stella,
nè la siderea luna han cuore d’assistere
alla tua dipartita e nascoste si sono
dietro un manto di nubi.
Notturno.
Scricchiola il ponte e battono secchi
Sull’acqua i remi sonori
Mentre tu ritto ti ergi e
Non ti volgi indietro a guardare là
oltre la poppa ,
ove lontana si fa la terra che un tempo tua dicevi
e che portasti in alto sul podio della gloria
ma ora già si arrende al nemico
Carthago la Bella,
Carthago la madre profana
che il figlio più amato ha venduto
affinchè piccoli uomini di sé indegni sé stessi fan servi
e il collo presto servono al giogo del romano padrone.
A fatica trattieni di sdegno una lacrima dall’occhio sano
che lontano scruta nel buio
e guarda l’altro dentro di te e ogni cosa conosce
e ti svela.
Aletheia regna sovrana nello spazio del giusto.
Si volge allora l’animo all’invitto cuore
e si fanno saldi insieme
rimembrando l’antico giuramento eterno
di odio perpetuo ai figli di Roma
che bollente scorre nelle vene simile a fiume di lava
e risveglia alla mente purpureo l’impegno solenne.
Lasci alle spalle Carthago la Bella
e punti la prua su Tiro fenicia
che là, salda oltre il buio, attende che torni
il più glorioso padre tra i figli.
Né più mai vedrai le sacre natali sponde
e le vie per le quali bambino correvi giocando alla guerra,
le piazze familiari, crocevia dei popoli, il richiamo alla preghiera
nella casa degli avi.
Soffia sul mare una brezza leggera.
Si china appena il capo di ricordi pesante sul petto
e già gli occhi si fan pieni d’immagini di tempi che furono
quando, giovane condottiero, stupisti il mondo
e scrivesti il tuo nome col fuoco
sulla schiena di Atlante
reggitore del globo che si era fatto pesante
dopo il passaggio sulle Alpi dei poderosi elefanti.
Non l’inverno pungente di titanica neve
nè le imboscate di celti furenti tra i picchi ghiacciati
poterono niente contro la forza del sogno
ed ecco che, oltre le montagne, si apriva ai tuoi piedi
lasciva l’italica piana.
Nulla aveva potuto a fermarti nemmeno d’Imilce l’amore,
non la gemella progenie.
Suonava cupa per Roma l’ora più triste.
‘Generale, generale, che fai non dormi?
Solo l’alba alzerà il velo per noi sopra Tiro
fenicia, fonda è la notte per chi nella notte
cerca consiglio.’
Apri l’occhio buono e non c’è più la fertile terra d’Italia
ma cupo e profondo mare
che risacca e mormora di piccole onde
lungo lo scafo veloce.
Non mai una notte intera hai dormito
in tempo di guerra né in quello di pace
ma simile a un lupo strappavi un po' di sonno al tempo
quando appena potevi, né mai lo volevi.
Tempo per dormire ce ne sarà a iosa al di là della vita,
hai sempre pensato.
Difficile sembra orientare la nave nella notte che avanza
come nella vita nessun vento è opportuno per chi non ha direzione
ma tu hai fatto di te un astro nascente per illuminare la via
e del tuo sogno ali al folle volo che ti ha portato lontano.
Immensa è adesso la notte sul piccolo legno.
Chiudi ancora gli occhi e con le mani ratte nell’aere
disponi truppe e ai lati numidi cavalli
e gli elefanti a tutti davanti per paura e stupore,
tremi il nemico avanzando la piena potenza di Annibale il Grande!
Gli dei non amano i tiepidi.
Cala il terrore sulle genti d’Italia.
In te rivive la gloria di Alessandro il Macedone e il furor guerriero
di Achille uccisore di eroi,
ma sei anche Ettore il misericordioso principe degli uomini
e Agamennone generale di eserciti vittoriosi.
Si alza la tua falce sulla pianura padana
e tinge il Trebbia di rosso il sangue romano
mentre mieti con forza e mano istruita alme di uomini
come spighe di grano.
Benedetto dagli dei,
avanzi veloce e muti la sorte che pareva di Roma
sul mondo aver fatto regina.
E già sul Trasimeno fugace essi spandevano fumi di nebbia
che di Flaminio agli occhi nascosero
l’esercito audace.
Simili a ciechi si moveano i Romani
nell’algida alba che avrebbe fatto loro da tomba
quando tu della battaglia desti il segnale;
al tramonto oscurarono il cielo di fumo
i fuochi di centinaia di pire
né la sera ebbe cuore a tardare.
Ogni cosa sembrò allora possibile
e la libertà delle genti a un palmo di mano.
Ma un nuovo astro faceva allora il suo ingresso
nel cielo di Roma e desiderava guidarne le sorti
né vollero gli dei svelarlo anzi tempo.
A malapena da Canne un ragazzo portò a casa
salva la pelle e a lungo pianse
la morte dell’inclito padre,
che come lui Scipione faceva di nome.
Un mare di corpi copriva la terra d’Apulia
ovunque l’occhio potesse guardare
perchè migliaia di figli quel giorno
vennero strappati dal cuore di madre
della città fondata da uno dei gemelli di Rea antica vestale.
La vendetta di Annibale contro l’arroganza di Roma
accese nel cuore del giovane simile a fiamma
la voglia orgogliosa di una divina rivalsa.
Sorge l’eroe paladino nell’ora dove la notte è più buia
simile al sole a peso portato sul carro
dagli alati cavalli d’Apollo.
E sempre l’alba sorprende
chi con sé Morfeo non ha tratto.
Un’ombra di sonno passa leggera
dietro le tue palpebre chiuse,
rolla e beccheggia la barca ma
alcuna terra il buio profila.
Tempo c’è ancora di ricordi e sospiri
Perché quando la vittoria sembra ormai giunta
Tosto s’allontana come Nike
con un colpo di ali.
Ed ecco che Capua ti costa una guerra
e anni di fatiche e tormenti e vite di giovani
eroi rimasti a morire in terra straniera.
E’ davvero brutto lasciare le ossa
lontane da casa.
Non le lacrime amare
dell’amata sposa né la cura di un figlio
ne avranno memoria,
non i dolori degli anziani genitori potranno lenire.
Tombe senza un nome come il mare profondo
si sono chiuse ormai su quei corpi da tempo
e nemmeno il nome è loro sopravvissuto a futura memoria.
Ma tu ancora vivi e batte il cuore caldo che di luce risplende
nella notte sul mare. Morire da solo è l’eroico destino.
Guarda.
Che cos’è quella striscia sottile che aleggia biancastra sull’acqua
e la rende più nera?
No, non si sbaglia chi come te l’ha attesa per ore nelle innumerevoli guardie
e tutto il mondo intorno sembrava dormire.
Ecco!, si fa incontro veloce alla nave l’alba,
vicino è il mattino e l’approdo di Tiro.
Più fresca è l’aria all’intorno nell’ultima ora del buio.
Ma un’ultima battaglia va ricordata prima del giorno
e si apre davanti a te l’infuocata piana di Zama,
simile a falco dall’occhio rapace ti libri alto
nel cielo furente.
L’umanità intera è schierata a battaglia.
E tu vedi te stesso condottiero d’esercito
lanciare feroce uomo contro uomo nello scontro finale
ma già gli elefanti hanno esaurito lo slancio
e imbizzarriti portano il caos
tra i tuoi stessi soldati.
Una nuova regia è in essere allora,
gli dei hanno ormai scelto un nuovo Mercurio
per parlare con l’uomo
ed è un ragazzo che un dì chiameranno le genti e la Storia
Africano.
Ma ancora non sa che nel suo destino eterno c’è il nome
che quel giorno scrisse nella sabbia di Zama.
Oh, com’è amaro il gusto della sconfitta dopo
aver libato per anni con calici gonfi
di vittorie sublimi!
Quanto pesa all’uomo
riscoprirsi umano
quando ormai era a un passo dal cielo.
Ma già si chiudono le divine soglie
davanti all’hybris del generale
un tempo invitto.
Niente è più bello di ciò
che non è stato ottenuto.
Crollano le file degli uomini
una dopo l’altra,
nulla di ciò che andava fatto
era rimasto da fare.
Mantengono la posizione
i punici audaci e durano fatica
gli astati romani ad averne ragione
ma arriva di princeps e triari la linfa nova
che vigore restituisce alla pugna offensiva.
Accerchiato è l’esercito di Carthago la Bella
che come novella Andromaca attende ormai
dalla cima delle porte Scee la fine impietosa
del suo divino Ettore
domatore di cavalli.
Calava così in terra d’Africa il sipario su Annibale il Grande
e sul suo sogno di gloria,
Roma imponeva allora
il suo imperium a sigillo
d’eterno comando.
Si scuote l’eroe e si ritrova adagiato sul ponte,
appena appoggiata la schiena.
Già il sole è alto nel cielo
e come lui tosto si leva e getta lo sguardo
oltre la nave,
giusto in tempo per vedere che nuova terra
viene incontro
e già Tiro sembra proporre
al generale la solenne promessa
di rinnovata vita.
Il generale è l’ultimo ad abbandonare la nave.

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